Un microbo con la bussola

L’uomo si è evoluto e vive immerso nel campo magnetico della Terra ma non ha sensori che gli permettano di avvertirlo. A rivelarci l’esistenza del campo magnetico terrestre è stata la bussola. Esistono però forme di vita che i sensori magnetici li hanno. Mentre per ciò che riguarda certi uccelli migratori la cosa è controversa, non esiste dubbio che particolari batteri siano davvero simili a microscopiche bussole biologiche.

Una nuova specie di questi microrganismi è stata scoperta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), in collaborazione con l’Istituto Oceanografico dell’Università di San Paolo, l’Università del Nevada e l’Università di Rio de Janeiro.

Il ritrovamento è avvenuto presso la foce del fiume Neponset (Massachussetts, Usa).

Il nuovo batterio magnetotattico (così sono definiti i batteri sensibili al campo magnetico terrestre), osservato al microscopio elettronico, ha rivelato una struttura a catena di cristalli di magnetite pura. Ciascun cristallo misura  da 20 a 50 nm (il nanometro equivale a un miliardesimo di metro, cioè un milionesimo di millimetro; per confronto, la doppia elica del DNA ha un diametro di circa 2 nm).

Battezzato Magnetobrivio blakemorei, il batterio è stato isolato e messo in coltura nei laboratori dell’Istituto di Microbiologia dell’Università di Rio de Janeiro, in Brasile. Per studiare le sue caratteristiche magnetiche, la coltura di Magnetobrivio blakemorei è stata poi trasferita presso il laboratorio di paleomagnetismo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dove è stato sviluppato un protocollo di analisi magnetiche con strumentazione all’avanguardia su questo microorganismo vivo.

I primi risultati della ricerca (pubblicati su “Environmental Microbiology” alla fine del 2012) hanno permesso di definire l’impronta magnetica di questo microorganismo che ne permette il riconoscimento. Caratterizzare al meglio questi microorganismi è importante per le loro possibili applicazioni anche nel campo della medicina.

“Il batterio – spiega Fabio Florindo, dirigente di ricerca all’INGV e firmatario dell’articolo – è  stato esaminato sia al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) per avere una visione dei cristalli di magnetite, sia con tecniche che servono a studiare le proprietà magnetiche dei cristalli sintetizzati.

Tali tecniche (first order reversal curves, FORC; ferromagnetic resonance, FMR; e decomposition of saturation remanent magnetization, DAM). Sono di assoluta avanguardia. Grazie ad esse, applicando opportuni valori di campo magnetico, è possibile rilevare l’interazione magnetica tra i diversi cristalli e stimare le loro dimensioni.”.

I batteri magnetotattici furono identificati per la prima volta nel 1960. Hanno la peculiarità di muoversi lungo le linee di forza del campo magnetico terrestre (magnetotassi) e lo fanno utilizzando cristalli di magnetite che i batteri biomineralizzano all’interno della cellula grazie alla presenza di un gruppo di specifici geni. Per questa loro caratteristica hanno destato un forte interesse e sono stati sottoposti a numerosi esperimenti a bordo dello Space Shuttle per esaminarne il comportamento in assenza di peso.

Altre informazioni sui batteri magnetotattici: link

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